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Residenza Studio Enej Gala – III Edizione

    1 – 30 settembre 2023

    La pratica di Gala spazia tra pittura, scultura, installazione e performance, con particolare interesse, negli ultimi anni, a una produzione scultorea direttamente influenzata dal teatro di figura e dalla creazione di burattini e marionette. Come un dispositivo che rivela i suoi trucchi e al contempo ne esalta la magia in modo controintuitivo, la marionetta è usata come lente per concentrarsi sui materiali come entità, espandendo il loro potenziale ed esplicitando le loro qualità intrinseche. Questo processo mette in discussione le prospettive tradizionali sull’arte, l’artigianato, l’installazione, la performance e le diverse forme di produzione, anche attraverso frequenti collaborazioni e libere improvvisazioni. Forzando i limiti dell’immaginazione e nutrendosi dei difetti della percezione, le opere di Gala ruminano metafore, in risposta alla costante frustrazione per ciò che ci viene proposto in qualsiasi forma di convenzione. Mettendo alla prova fragili appartenenze a identità consolidate e retoriche conflittuali, criptico e triviale entrano in dialogo mediante installazioni che rispondono allo spazio come trappole accoglienti in cui gli spettatori possono inciampare.

    Biografia

    Enej Gala (Ljubljana, Slovenia, 1990) vive e lavora tra Londra, Venezia e Nova Gorica. Laurea Triennale (2013) e Biennale (2015) in pittura all’Accademia di belle Arti di Venezia. Esegue un periodo di studio alla Willem De Kooning Academy di Rotterdam (2014) e prende parte della Royal Academy Schools Postgraduate Programme a Londra (2019-2023). Enej Gala ha partecipato a diverse mostre collettive e personali in istituzioni pubbliche e private. Tra le collettive: “Camminando sul ciglio di un instante” (2021, Palazzo ReRebaudengo, Guarene); ”Ghost-like traces”, (2022, curata da Thorp Stavri, Unit 1 Gallery London) RA Schools Degree Show, (2023, Royal Academy, London) ;  Tra le personali: “On the shoulders of dwarfs” (2020, Galleria di Arte Contemporanea, Kresija, Ljubljana); “Predator’s turn” (2020, Galleria Civica, Nova Gorica), “Nevereverevereverevereverever learn” (2022, testo di Marta Papini, A plus A Gallery, Venezia). “Saving chewing gums from mammoth’s hair” (testo di Treti Galaxie. galleria TJ Boulting, London).

    Il progetto “Residenze Studio” è realizzato con il supporto della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e della Fondazione Zucchelli, in collaborazione con Almanac (Torino) e Associazione Ariella Vidach di Milano e con il patrocinio del Quartiere Santo Stefano.

    Testo critico di Enrico Camprini

    Ho conosciuto Enej Gala nel 2019, proprio qui a Bologna, in occasione di un progetto
    realizzato dagli amici di Localedue. Si trattava di una serie di esposizioni di una singola opera,
    ciascuna in seguito discussa e contestualizzata in una tavola rotonda aperta al pubblico. Il lavoro di
    Gala mi colpì particolarmente: si trattava di una tela in cui compariva una sequenza di piedi intenti a
    calzare scarpe femminili di misura esageratamente piccola o grande. Questa goffa enciclopedia poco
    ha in comune, almeno da un punto di vista linguistico, con il percorso più recente dell’artista e con ciò
    che ha realizzato in questa residenza; rimane tuttavia, a ben vedere, come costante di una ricerca
    eterogenea la medesima vena ironica e specialmente la tendenza a creare immagini impreviste,
    paradossali, implausibili. Nella scultura come nella pittura, Gala si tiene distante da visioni ordinarie –
    attiva narrazioni surreali, innesca cortocircuiti percettivi e immaginativi – così come ordinaria non è la
    sua concezione del mezzo. Infatti, il punto di partenza della pratica scultorea e installativa, e
    sostanziale filo rosso della produzione dell’artista, va rintracciato non solo nel campo delle arti visive
    ma in buona parte nella tradizione secolare del teatro di figura, e non è certo casuale che, nelle varie
    discussioni che ho intrattenuto negli anni e in questo mese, i termini “sculture” e “oggetti” siano
    sempre stati preceduti a livello di importanza (ma mai davvero messi in secondo piano) dalle parole
    “burattini” e “marionette”.
    Ora, queste parole possono in realtà generare un equivoco. In italiano rimandano a elementi e
    pratiche ben precise e riconoscibili, che nelle opere di Gala non necessariamente ritroviamo: non
    sempre si tratta di sculture manipolabili dall’alto con fili, come effettive marionette, mai di veri e
    propri burattini. Il termine più pertinente per racchiudere in un insieme le sculture immaginate
    dall’artista è invece lo sloveno lutka, non propriamente traducibile, che in sé comprende le soluzioni
    estetiche e pratiche del teatro di figura più in generale. Ciò che importa non è dunque il rimando a
    una disciplina precisa, quanto focalizzare l’attenzione sulla questione centrale dell’animazione;
    questione che da un lato rimanda allo storico rapporto metaforico tra scultura e forma di vita,
    dall’altro – è il nostro caso – ci spinge a riflettere su un carattere performativo della scultura che si
    esprime anche successivamente alla sua realizzazione. I lavori esito della residenza articolano questa
    dinamica con grande chiarezza. Si tratta di strutture composte da elementi perlopiù sottili che
    tracciano forme nel loro complesso astratte, ma nondimeno capaci di offrire allo sguardo riferimenti –
    in modo sia esplicito che velato – di tipo biomorfo e antropomorfo. Sono opere che vivono una

    duplice vita. In primo luogo, come presenze scultoree in relazione tra loro e con lo spazio nel salone
    centrale di Alchemilla, prendendone possesso in sospensione, esaltando i vuoti e generando un
    bizzarro contrappunto visivo con i motivi decorativi sul perimetro; in secondo luogo, appunto, come
    oggetti manipolabili e modificabili le cui componenti si possono innestare su altre o rimuovere, così da
    determinare l’autonomia della scultura solo in funzione della sua possibile performatività.
    È, del resto, ciò che si verificherà al termine della residenza. I lavori qui realizzati saranno al centro di
    un workshop che Gala terrà a Torino il mese prossimo e che vedrà coinvolti bambini di due istituti
    della città, che dovranno confrontarsi con i lavori e appropriarsene, animandoli. La serie scultorea
    troverà dunque effettivo compimento in quella che potrei definire una pratica di reciprocità,
    attraverso cui il singolo performer imparerà a fare “uso” dell’opera, muovendola e attivandola nello
    spazio, instaurando con essa una forma di corrispondenza in grado di fondere in un singolo corpo
    l’azione di due entità separate all’origine.
    Improvvisazione, performatività, partecipazione e ironia sono vocaboli centrali nella ricerca di
    Enej Gala. Aggiungerei anche, come comune denominatore di tutti, artigianalità: è l’elemento
    caratterizzante della produzione scultorea e installativa dell’artista, del suo percorso oggi e, inoltre,
    rappresenta per certi versi anche una postura intellettuale. Le sue opere, in particolar modo quelle
    legate al mondo di burattini e marionette, vengono alla luce mediante pratiche che oltreoceano si
    definirebbero DIY, dove tutta la produzione è determinata da scelte e operazioni “dal basso”.
    Strategie di adattamento e riuso che diventano condizione necessaria per lavorare, una scelta
    linguistica. Le sculture qui esposte sono costituite da tre soli materiali, due dei quali potenzialmente di
    riciclo – segatura, colla vinilica, filo di ferro – e hanno un precedente diretto in una complessa
    installazione realizzata la scorsa estate alla Royal Academy di Londra. Si intitolava Neighbour’s
    Harvest, il raccolto del vicino: la segatura utilizzata proveniva da scarti di lavoro lasciati dai colleghi di
    Gala che come lui frequentavano studi e laboratori. Un’economia circolare della scultura che, in scala
    minore, si è ripetuta in questi spazi e i cui frutti sono destinati a essere condivisi, vivendo
    nuovamente.